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In questo mondo diviso tra chi coltiva il proprio orto e non guarda al di là del proprio naso e chi fa l’amore con le nuvole e insegue il paradiso nel futuro o nel passato, con questo io diviso tra i piccoli piaceri e le grandi fughe, che ogni giorno e ogni notte fatica a tenere insieme particolare e universale, concreto e astratto, in un fine settimana che inizia la primavera, andiamo in pellegrinaggio, Alexandra ed io, da Piero della Francesca.

Il Sogno di Costantino sta ad Arezzo. Piero lo ha affrescato coi colori riflessi negli occhi degli aretini del suo tempo, e quel gran giallo che irrompe dall’alto e domina la scena è il colore della pietra a vista colorante l’intera città. Quel giallo particolare (arenaria-paglierino) si sposa con la geometria universale (della tenda conica) e produce concerto di cielo e terra, convergenza di luce e prospettiva, consonanza di uomini e cose, sintesi di forma e colore, identità di esperienza e idea.

La Madonna del parto sta nei dintorni d’Arezzo, a Monterchi. Piero ha usato qui il verde dei prati, il blu delle colline, il viola degli appennini, i colori fondamentali che vedevano i suoi familiari quando raccoglievano i fiori di lavanda per venderli, e vediamo noi oggi uscendo dal museo. Quei colori, organati nella “media proporzionale”, tingono gli angeli reggicortina, fratelli gemelli originati dall’inversione dello spolvero, e la Madonna, contadina incinta di una nuova vita e colonna rigonfia di un’antica entasi, quella vestita di doghe incurve e questa di sciolte scanalature.
(Alias, 8 maggio 2006)
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