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Negli ultimi anni, il numero degli scrittori ha superato il numero dei lettori. È il paradosso finale della civiltà moderna, che non è riuscita a insegnare a tutti a leggere ma a scrivere, e pubblicarsi.
Sia chiaro: a scrivere non c’è niente di male, anzi scrivere fa bene, come bene fanno tutte le attività costruttive. Ma è male pubblicare, se non in casi straordinari. Mia figlia Nefeli definisce questa patologia della pubblicazione con la formula ‘ipertrofia della volontà di comunicazione’, e la giustifica legandola all’aspirazione degli umani alla vita eterna. Fino a ieri – aggiungo io - gli umani si contentavano dell’eternità offerta dalle religioni, tutti eterni gratuitamente, all’Inferno o in Paradiso poco importava. Oggi che la crisi organica della civiltà moderna ha rosicchiato le nostre speranze e accorciato i nostri orizzonti, scettici e miopi l’eternità ce la produciamo da soli, scrivendo e pubblicando. Per ciò pubblichiamo le nostre facce, i nostri pensieri, le nostre poesie, i nostri saggi, i nostri romanzi, sugli schermi dei computer e sulle pagine dei libri, senza ritegno, senza rimedio, finché la morte non ci separi. Ma pubblicare è niente se non sei letto. Solo attraverso la lettura puoi diventare eterno. Da qui, l’ipertrofia della volontà di comunicazione, che ti spinge prima a pubblicare, poi a diffondere, divulgare, disseminare, propalare, promuovere, sbandierare. E arrivano offerte, domande, richieste di lettura. Lettura per pubblicazione si capisce, su un inserto settimanale di un giornale per esempio, come Alias de ‘il manifesto’. Così è arrivato fino a me attraverso la linea facebook – posta il libro di Giuseppe Tripodi, Cola Ierofani. Amori e politica nel Secolo Breve, Città del Sole Edizioni s.a.s. 2014, pagine 437. Un romanzo storico. Andava scritto, questo libro? Certo: ha dato più senso e più forma alla vita di Giuseppe Tripodi. Andava pubblicato? No. Come non andavano, non vanno pubblicati il novantanove per cento dei libri che circolano sulle Reti, nelle librerie. I classici (gli scrittori straordinari) vanno letti. Tutti devono leggerli. Tutti devono scrivere. Ma non scrivere per pubblicare. Gli scrittori comuni come Giuseppe Tripodi siano letti soltanto (oltre che dagli amici educati e dai parenti stretti, si capisce) dagli storici, giornalisti, sociologi, antropologi, politici, sindacalisti, amministratori, e via specializzando, per ricavarne materiali di conoscenza del mondo e della vita. Ma per ottenere questo non servono le case editrici e i social network, bastano le macchine da scrivere e le email. “Bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso”, ha scritto Pierre Abélard. Scritto e pubblicato, purtroppo.
(Alias, gennaio 2015)
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