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I rapporti guardinghi tra il Professore e i capintesta della sua coalizione riportano la mia memoria a ieri, agli anni trepidanti del liceo reggino, e la nostra storia all’altro ieri, ai convulsi inizi dell’impero romano.
Bertinotti e D’Alema, Rutelli e Veltroni e lo stato maggiore dell’Unione al completo assicurano di essere leali secondi a Prodi nella presente opposizione e nel futuro governo. Ma i politici dicono mezza verità in ogni occasione e ciò che è opportuno nelle date circostanze: la verità intera è sempre importuna (o rivoluzionaria, che è la stessa cosa). La verità è poliedrica, complessa, contraddittoria.
I capi in seconda dell’Unione riconoscono Prodi come leader e tuttavia coltivano - direbbe Flaiano – un “complesso di parità”: non si sentono secondi a nessuno. Prodi dal canto suo, stravinte le primarie, concordato il programma, benedetto dai sondaggi, potrebbe guardare serenamente in avanti invece che prudentemente ai lati, eppure vive la “sindrome di Augusto”.
Morto ammazzato Cesare per mano di un gruppo di congiurati in Senato, Augusto aveva ripristinato formalmente le tradizioni istituzionali repubblicane – che Cesare dittatore perpetuo aveva evidentemente sottovalutato. Surclassati i concorrenti, pacificate le sacche di resistenza avversaria, risanata l’economia e la vita civile, restaurata la repubblica, riorganizzato l’impero, consacrato dagli auguri, Augusto avrebbe potuto vivere rilassato. Eppure, quando andava in Senato, sotto la toga indossava la corazza.
(Alias, 1 aprile 2006)
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